Stefano Lo Cicero

GIUSEPPE SELVAGGI

Critico d’arte

Mistero poetico

In un’opera di pittura, come avviene nei lavori di Lo Cicero, insieme meditati e spontanei, si produce una aggiunta di emozione tutte le volte che il nostro artista partecipa in termini interiori al completamento dell’idea iniziale del quadro. È come se il godimento visivo si raddoppiasse in una rinnovata rivisitazione.
Nei quadri di Lo Cicero, ed è certamente questa una lettura che non esclude altre polivalenze, si coglie il senso di introduzione sia dei personaggi che dei colori-linee che li identificano, in una composizione che mette a fuoco la centralità e la totalità della stessa.
In Lo Cicero c’è questo “fiat” di inizio, che sviluppa e avviluppa l’opera, nella spontaneità di immagini, anche se nel progetto, queste sono state intimamente meditate e partecipate.
È il fenomeno che si lega alla nascita e alla crescita del momento poetico e che si sviluppa tutte le volte che c’è pensiero umano operante ai fini della poesia.
Per entrare ancora di più nell’opera di Lo Cicero e fare chiarezza su tale punto di vista – si intende – si potrebbe ricorrere ad un paragone che riferiamo alla natura.
Nella realtà di un seme individuiamo e immaginiamo l’interezza dell’albero fino alla sua completa crescita. Nei casi specifici della talea, invece, il frammento della pianta, spesso casuale, ci fa immaginare uno sviluppo a sorpresa, quasi che una prima gemma debba provocare le altre.
In Lo Cicero questo processo della crescita e della espansione della forma, che in narrativa e in musica è alquanto frequente (si immagini la stesura del Castello di Kafka), produce un proprio mistero poetico. È il fascino di Lo Cicero, o meglio, del suo “segno”, che si metamorfizza in continuazione. Non è tutto spiegabile, però; riguardando il suo quadro, cercando le ragioni di tale rivisitazione, siamo condotti dal pittore, dal suo raccontare in pittura, a compiere un viaggio attraverso le tappe di immagini e di colori, che ci coinvolge.
L’Artista dà vita ad un racconto al quale, solo alla fine, ognuno di noi attribuisce un preciso e personale significato. È questo il segreto compositivo dei moderni grandi artisti tanto figurativi che astratti, da Chagall che usa la visione tradizionale, a Mirò che, in modo introspettivo, indaga le scoperte della linea-segno: Stefano Lo Cicero ha consanguineità con il metodo chagalliano.
Le figure sono sempre paragonabili ad un paesaggio umano. Come monti e campi, spesso le figura si allineano, una dopo l’altra, e in trasparenza una dietro l’altra: formano un affresco denso di calori e di colori, tra il caldo umano e il gelido della natura quando ci appare indifferente. È evidente che esiste una centralità, ma c’è anche una suggestiva concatenazione delle singole nascite dei personaggi e delle divisioni coloristiche. Come se dal fianco di una figura ne nascesse un’altra.
Ad opera compiuta, l’unità è tale che, vista da destra o da sinistra, la successione di incastro appare armonica. Ancora, con un prestito della natura, basta pensare alle creature siamesi; oppure, alla moltiplicazione della vite, per propaggine: un ramo interrato produce una linea di piante.
Non sappiamo se Lo Cicero possa ritrovarsi in una simile chiave di lettura, riteniamo però che l’assunto è di entrata avvolgente in tante sue opere. Del resto alcuni suoi lavori, quali “Accordi in giallo” oppure “Pensieri”, confermano tale lettura, anzi la esaltano.
La composizione si dispone, con un suggerimento musicale, come un coro che amplifica la scena, o si tramuta in una sinfonia che annuncia un crescendo. Infatti la lezione superiore dell’arte, e della musica stessa, viene dall’artista assorbita, diremmo posseduta, con un’audacia quasi carnale nelle stesure diverse e attraenti dei gialli, azzurri, rossi.
L’artista riesce a dare al quadro volumetrie unitarie, quasi un organico equilibrio tra figure e colori.
Sarebbe solo per segnalare un evento di calcolo tecnico? Non lo è. Lo Cicero, invece, se ne serve per farci percorrere il suo itinerario poetico, tra evidenza e mistero, qual è la poesia.
Da: Presentazione Pittura in Monografia “Rapsodie dell’anima” per Antologica, “Palazzo Branciforte” – Palermo, marzo 2005