Stefano Lo Cicero

ALBANO ROSSI

Giornalista, Critico d’Arte

Stefano Lo Cicero al “Circolo Artistico”

Vorrei che questa breve nota introduttiva a questa mostra di opere recenti di Stefano Lo Cicero fosse considerata come qualcosa di diverso da una rituale presentazione. In essa intendo solo confermare la mia sincera stima che ho per il giovane pittore, per il suo carattere onesto, per la sua coscienza formale che travalica gli stessi vari momenti e istanze della sua poetica, per il suo “impegno”, che è schietto, assoluto, appassionato impegno umano.
Pur avendone altre volte accennato, non ho avuto modo , finora, di fare un vero discorso sulla pittura di Lo Cicero: un discorso critico compiuto, voglio dire, che potesse in qualche modo puntualizzare le tappe del suo iter artistico. Anche questa volta non posso dire che l’occasione sia propizia.
Ma – mi son chiesto – che sia questo se non altro, un modo per cominciarlo, questo discorso, e più ancora una premessa di riprenderlo su un altro piano nel prossimo futuro, con altri elementi a disposizione, con altra riflessione, con altri intenti? E anche con un margine di tempo e di spazio per tutto ciò.
I dipinti che ho qui sotto gli occhi, destinati alla mostra odierna, testimoniano una fase creativa, ma si direbbe meglio un recente breve tratto del percorso di Stefano Lo Cicero, sempre esemplare per fervore d’ispirazione e per approfondimento di linguaggio, quanto è ricco e vario di flessioni sentimentali, di sospensioni e di abbandoni al flusso della memoria che stempera le morfologie della natura, mitizzandole e secondandone il recupero in un ordine che diventa presto il dominio della fantasia.
Ricordo che, alcuni anni addietro, vi fu un periodo in cui la pittura di Lo Cicero parve deviare da questa linea che segna il rapporto tra l’artista e il mondo circostante: quasi per rispondere al richiamo di una cultura allora imperante e che, dogmaticamente ancorata com’era al più cieco soggettivismo creativo, determinò, in gran parte della giovane pittura italiana, una crisi di linguaggio: ma quel suo temporaneo deviamento non fu determinato tanto da una mera suggestione dell’ambiente, quanto – e piuttosto – perché in quel periodo poté davvero ricevere l’impressione che quel tipo di cultura quasi polarizzasse su di sé ormai ogni interesse e le scelte di quanti, probabilmente senza accorgersene, lo stavano persino sospingendo ai margini della vita artistica contemporanea.
La crisi ci fu, dunque, e toccò non soltanto il pittore, ma l’uomo, traducendosi in un periodo di dubbi e di inquieta ricerca, dal quale tuttavia, Lo Cicero poté uscire, reagendo così ai pericoli delle inerti cristallizzazioni, come a quelli delle dispersive avventure. Le crisi non sempre sono dei bombardamenti a tappeto: e neppure le rese incondizionate debbono essere tutte considerate delle sconfitte.
Quel che conta è che le nuove verità siano confessate in modo chiaro, perentorio. Quel che conta è che, per questa via, oggi Lo Cicero è giunto alla conquista della sua piena indipendenza, e cioè ha recuperato quel suo mondo a lui così congeniale e stilisticamente intonato, ove la probità e la serietà del mestiere sono un mezzo per controllare a fondo il grado di autenticità delle sue ragioni espressive.
A me sembra che fra le qualità positive di lo Cicero ci sia la volontà di parlarci con chiarezza, nel linguaggio limpido che si ha quando l’intelligenza diventa intelligenza-del-cuore nel conquistato equilibrio morale: è la volontà che l’artista ha di durare; è l’intuizione dell’approdo sicuro al quale egli è fin qui arrivato, si può dire proprio per un istinto e non senza una più matura visione.
Né si creda che quella certa vena di intellettuale intimismo che sempre serpeggia e alimenta le sue opere rischi di sfaldare la saldezza compositiva; qualche volta un certo crepuscolarismo corrode e sfrangia la sostanza pittorica che diventa fragile e compiaciuta di trasparenze umbratili.
Da: Presentazione in catalogo, “Circolo Artistico” – Palermo, aprile 1967

Commento

…Alieno com’è da ogni sorta di speculazione, Stefano Lo Cicero è pittore di pura spontaneità, direi per costituzione, senza quindi la possibilità di sottrarsi ad essa. Vive tra sensazioni ottiche, colori e visioni captandone l’intima essenza. Il linguaggio non si può inventare: si svolge. Esiste una radice indistruttibile anche per l’albero della pittura e Lo Cicero discende “per li suoi rami”.
Infatti le sue immagini, per essere vivaci o patetiche, devono ripetere la commossa tenerezza di certi aspetti reconditi del suo paesaggio siciliano o della sua intimità borghese. Sotto questo profilo, egli può quindi essere inserito nello schieramento dei pittori definiti istintivi, la cui intuizione è regolata dall’intelletto, poiché Lo Cicero è un temperamento meditativo e culturalmente aggiornato. Sempre l’immagine è legata, solida, impiantata con deciso rigore, per cui certa sua sensuale pregnanza cromatica, anziché franare in un coagulo indistinto di materia pittorica, tende sempre a un vigoroso ordine plastico…
Da: Commento alla mostra, “Circolo Artistico” – Palermo, aprile 1967

Personale di Lo Cicero alla Galleria “La Goccia”

Può accadere che sia sufficiente una diversa componente di colore a definire e a caratterizzare le varie posizioni di ricerca di un artista.
Ma, per contro, può non bastare il ripudio categorico di un dettato figurativo a distruggere il significato di un percorso pittorico interamente condotto sotto il segno di un attaccamento amoroso alle cose, ad un mondo tangibile e fervido, fatto di terra e di uomini, di cielo e di alberi: e questo è proprio il caso di Stefano Lo Cicero che sta per sfociare (con i più recenti di questi suoi dipinti) nel pelago ormai stagnante della cosiddetta pittura informale.
Questo termine approssimativo e “negativo” (che infatti presume una “repulsa delle forme della natura” senza peraltro proporre un qualcosa che al loro posto venga rimpiazzato), serve solo ad indicare i confusi confini di un fenomeno certamente assai esteso, tanto da includere anche dei “realisti” come Lo Cicero.
Senza scatti repentini, sbandamenti o sconfessioni, sviluppando le precedenti ricerche, egli è pervenuto ad una pittura di morfologia confusa, ma di non trascurabile impegno espressivo.
Dal periodo delle nature morte e dei paesaggi agresti a quest’ultimo, decisamente “tachiste” la spinta emozionale, anziché svigorirsi in più transitori e fortuiti allettamenti, si è fatta forse più sostenuta perché il pittore s’è sforzato di pacificare in sé quel conflitto di passione e di reiezione, che è connaturato alla sua esistenza, ai suoi rapporti col mondo.
Può apparire un equivoco, ma dal narcisismo e dalla chiarezza di tanta pittura informale, queste recenti immagini di Lo Cicero sono già fuori in via di involuzione, ma d’incremento e di superamento.
Da una pittura ristagnante nel suo stesso processo di formazione organica, Lo Cicero s’è spinto a una tessitura di materia embrionale e nel contempo generante, larvale e magmatica: la materia dell’irreale, ottenuta con impasti, smalti, colature, sprazzi iridescenti che non hanno di definito se non le variegature delle immagini più ipotetiche, suggestive e preoccupanti che la sua fantasia di pittore possa suggerirgli. Amore, inconscio, conflitti: tutti termini non equivoci di un discorso cui la poetica dell’informel ha tolto ogni peso, ogni riferimento che vada oltre un certo effetto di suono.
Da: Presentazione in catalogo, Galleria “La Goccia” – Palermo, giugno 1965

Commento

…Oggi Lo Cicero è giunto alla conquista della sua piena indipendenza e, cioè, ha recuperato quel suo mondo così a lui congeniale e stilisticamente intonato, ove la probità e la serietà del mestiere sono un mezzo per controllare a fondo il grado di autenticità delle sue ragioni espressive…
Da: Commento alla mostra, Galleria “La Goccia” – Palermo, giugno 1965