Stefano Lo Cicero

RUGGERO ORLANDO

Giornalista

Nota

Con una sorta di realismo mordace, pregno di riferimenti antropologici della sua terra, Lo Cicero, che per passione e temperamento non può essere disgiunto dal dato caratteriale della propria sicilianità, esprime, con formidabile energia, tutte le sollecitazioni cognitive che lo inducono ad esplorare il contingente.
Una volta che ha spalancato le porte della propria arte, egli rivela ogni sedimentazione dell'inconscio, ogni implicazione culturale mutuata all'interno di un'innegabile mediterraneità.
Ma non c'è solo la sintesi di una tradizione solare nelle sue opere, poiché la ricerca cromatica, più in generale, si propone lo scavo del giacimento umano, per astrarne i nuclei emozionali di una poetica genuina.
La tavolozza, nel suo insieme è ricca ed elaborata, senza mai indugiare in stucchevolezze e ridondanze stilistiche, ed il fine ultimo non è il compiacimento coloristico, ma l'analisi e la drammaturgia dei suoi personaggi che riflettono la forza prorompente della loro insularità.
"Coscienze alla sbarra", "Montevago '68", "Quale domani", e tante altre opere che hanno nel sociale la loro centralità, dimostrano il forte impegno con cui l'artista ama trattare temi d'ampio respiro.
Una dimostrazione inequivocabile di un'arte mai arroccata in sterili ricerche, pronta a cogliere immediate inferenze realistiche, e sempre attenta a sottolineare inquietudini ed aspettative.
Il gesto pittorico, appunto per rispondere ad esigenze analitiche, è agile e svelto a sottomettersi alle esigenze d'interiorità della figura umana fortemente integrata con l'ambientazione.
L'autore, partecipa intensamente alla sofferenza dei suoi personaggi, figure al contempo inquietanti e drammatiche che sbucano al culmine di una tensione coloristica di grande effetto.
La tecnica usata, che consiste nel distendere il colore sulla tela a tratti, senza definire i confini delle campiture, dona un contributo essenziale a chiarire l’assunto del pittore, poiché le superfici colorate che risultano da tale sistema pittorico, interrotte, quasi ridotte in frantumi, sono la migliore allegoria per dimostrare il continuo processo di sistematica disintegrazione della personalità umana.
Anche negli scorci paesaggistici la critica dell’artista è incisiva e la si può facilmente comprendere osservando la fredda ed a volte triste immobilità con cui sono stati rappresentati tutti gli elementi. Pittura, quindi, pregevole per la carica di umana sensibilità di cui sono permeate le opere, ma anche per i momenti di emozione che riesce a suscitare nell’animo di ogni osservatore posto a contatto con la realtà di un ambiente pieno di angustie e di mortificazioni, ma reso suggestivo dalla poesia che vi ha posto l’anima dell’autore.
Da: Manoscritto – Firenze, 1976