Stefano Lo Cicero

ELIO MERCURI

Critico d’Arte

Stralcio manoscritto autografo

…C’è una storia di pittura mediterranea alle cui radici esiste un rapporto con la natura, la luce e i colori, reso bruciante esperienza dalla sensibilità che trapassa in accesa ed estrema sensualità. Lo Cicero partecipa intensamente a questa vicenda che è cultura di popolo e personale immaginazione, tormentosa certezza di realtà.
I suoi quadri sono finestre aperte dal vivere questa istintiva aderenza ai luoghi di un mondo che passa e tende ad essere divorato dalle città, le città che crescono nella natura, dove memoria e sogno, struggimento e rinnovata bellezza reincarnano segreti desideri dell’uomo e antiche ritornanti visioni.
Per questo, dalla sua ricerca inesaurita, mi sento assai prossimi i suoi presagi, quei colori che danno sangue ad un patto e linfa ad una pianta e che appartengono alla vita e non al mondo. Segni e simboliche presenze di un metafisico essere nella cui trascendenza il nostro esserci è esistente, è come perduto e al quale pure ci sentiamo, per mistero e per magia, per sempre legati.
Lo Cicero non conosce complicazioni intellettualistiche, partecipa attraverso la sua sensibilità allo spirito di un luogo, alla vite segreta di una vegetazione, allo struggimento di un azzurro, convinto che la pittura sia proprio ciò, un modo di affermare e di testimoniare ciò che nel desiderio dell’uomo è richiamo ad un superiore e finale destino.
Così la febbre del sangue, l’impulso che muove da dentro si fanno tramiti a qualche idea, che la contemplazione della natura senza esplicita e chiara certezza, tanto più essenziale quanto più oggi, contaminata dal vivere, da questa perdita di sensibilità che impoverisce la nostra esistenza e sottrae al mondo, Stefano Lo Cicero ritrova così il suo spazio poetico e in esso riscopre intatti il potere della pittura, il comunicare le nostre emozioni e passioni sì da poter costruire la trama di una sola e incorruttibile realtà...
Da: Arte Italiana per il mondo (Celit) – Torino, 1978

Il sogno immmemorabile

C’è oggi il sentimento di una crisi profonda dell’arte e c’è chi ne ha annunciato il declino. Siamo al cospetto dell’arte “terminale” e forse in condizione di fine. La grande “ombra” che ne segna l’impossibilità a svolgere la sua funzione, che ha accompagnato ogni civiltà dell’uomo. E’ che nei “non luoghi” del mondo è lo stesso uomo a vivere il rischio estremo e segnare il tempo del post-umano.
Nella paura dell’uomo del “pensiero debole” alla deriva nell’età della globalizzazionee di una incredibile rivoluzione tecnologica è il lavoro di artisti come Stefano Lo Cicero nella semplicità di ciò che è “necessario” ed è aderenza naturale alla vita che danno “senso” al destino dell’uomo, ad un suo futuro da salvare come valore assoluto.
La sofferenza del vivere è sentimento forte della personalità di Lo Cicero, uomo saldo alle sue radici nella borgata marinara di Vergine Maria a Palermo, dove i drammi sono quelli della vita, della fatica come nei Malavoglia, e l’uomo lotta, e di questa sfida vuole incarnare le ragioni e la speranza.
Attraverso la tensione del dare forma alla vita cerca, nel rivelarne la complessità, tutte le espressioni della parola nei suoi lavori poetici in italiano, “Riflessioni”, “Voli del pensiero” e con intensità rara “Ramagghia d’amuri” nel dialetto della sua terra; ma con tenace ricerca ne cerca l’immagine che la trasforma in simbolo di tutti e senso dell’esistenza, in valore assoluto, nell’approdo finale della scultura, dove tensioni e sentimenti, sofferenza e dolore, trovano la definizione di "Accordi" a sciogliere gli "Intrecci".
La ricerca di Lo Cicero è tutta nella tenace elaborazione del reale, quotidiano e assoluto nell’emozione che è vissuto e prelude al Volo del pensiero così da dare espressione alla necessità di fato e di mito, di sogno dell’uomo dentro quel contributo mirabile della scultura della Sicilia, da Greco a Consagra, alle pietre laviche di Mazzullo, calco e impronta di un’attuale Pompei.
Nasce la sua scultura, per la quale inventa un suo materiale, il marmo composto che vive di uno scambio continuo fra la materia e la luce fino a rinnovarle e a muoverle, dal volto e corpo dell’uomo, dai suoi gesti e moti le grandi fantasie cosmiche in cui un umile uomo è associato agli elementi fuoco, acqua, aria e alla materialità delle sostanze terrestri.
Elabora sul filo dell’immaginazione sogni situati tra la materia e la luce, crea lo spazio-dimensione di forme, plasma in consistenza e presenza i sogni d’alchimista nei quali escogita sostanze, accresce luminosità, plasma i colori, provoca contrasti in cui è sempre dato scoprire la lotta degli elementi, il caos dell’origine e il cosmo del mondo.
E’ la forza dell’amore artigianale per la materia, come nel primo Arturo Martini per la creta; per Lo Cicero sabbia e cemento e terra, in quel “gioco della sabbia” che permette di dominare la vertigine, la vertigine che accade quando i valori inconsci prendono il sopravvento e l’emozione apre alla comunicabilità dell’anima.
La polvere, la sabbia si fanno tra le sue mani immagine, figura, forma che svela la relazione di mistero, tra l’uomo e la natura, tra l’uomo, il suo corpo e l’anima a dare consistenza; è la scultura, che “sta” come diceva Sciascia, ed è monumento, alla comunicazione di ognuno con tutto e il tutto, presenza.
In tempi come i nostri, Lo Cicero sente che “il cuore dell’uomo” e “l’anima del mondo” debbano ritrovarsi; sferzare il maleficio, di oggetto e cosa, in questa spinta a vivere sempre la totalità: non come esito dato, ma come lavoro, domanda, attesa, speranza di salvezza, di accordi, di necessità che si sottrae all’errore e ritrovare oltre la zona d’ombra la bellezza e la verità di un’arte senza “ombra”.
Plasma la materia con il moto delle mani, per alitare con il proprio respiro l’anima nell’atto di ogni rinnovata creazione che è sempre uscita dal “caos” cioè forma. La scultura è allora atto d’amore che trasforma il “sogno della cosa” in “coscienza della cosa” nello scambio che è l’immaginare il mondo e “anima il mondo” e lo restituisce all’anima in questa dimensione di comunicabilità autentica che è il dono dell’arte e dell’amore.
Scopriamo in compagnia delle opere di Lo Cicero un coraggio nuovo nell’accettare il destino. Così un sogno immemorabile ci propone il sentimento della continuità. Ed è il segreto dell’arte sempre e il senso del lavoro di Lo Cicero, come possiamo avvertire, nella semplicità e verità dell’esistenza, che ciò che viviamo, come nella saggezza greca, è necessità.
Da: Presentazione in Monografia “Rapsodie dell’anima” per Antologica, “Palazzo Branciforte” – Palermo, marzo 2005