Stefano Lo Cicero

GIOVANNI CAPPUZZO

Critico d’Arte, Giornalista

Stralcio

…Analizzando il percorso artistico di Stefano Lo Cicero si evince che tutta la sua opera pittorica, grafica e scultorea risente di una spiccata inventiva nel trovare sempre nuove argomentazioni alle sue necessità creative. Nelle sculture ogni riferimento ha una sua connotazione ben articolata dove le propulsioni interiori dell’artista sollecitano la staticità apparente della massa trasformandola in prominenze enunciative che interagiscono con nuove risorse contenutistiche in uno spazio-superficie indefinito. Accorpamenti avvolgenti ruotano nel loro nucleo germinativo che aggrega tutte le assonanze e le sollecitazioni peculiari dello scultore sino al raggiungimento di un iter evolutivo dai valori estetici e formativi connaturati nella sua propensione artistica fatta di impegno e di poesia…
Da: Manoscritto firmato – Palermo, febbraio 1997

Stralcio

…Incline allo studio e alla riflessione, con la razionalità e l’impegno di artista genuino, fermamente ancorato ai valori essenziali dell’etica, Stefano Lo Cicero dell’arte ne ha fatto il suo scopo fondamentale di vita e di passione. Dagli influssi ambientali e caratteriali della sua gente e della sua Sicilia, trae lo spunto emozionale, che dà vita e significato pregnante a tutto il suo operato. Così alcuni temi, rappresi dalla memoria, scandiscono tutte le vibrazioni germinative della sua arte.
Confortato dal bisogno di rapportarsi con il mondo e con gli altri, negli affetti e negli ideali, Stefano Lo Cicero si sente realizzato e meno smarrito nel marasma del contingente dove l’artista scruta, indaga e, col suo animo sensibile, coglie lo spunto che lo porta a gestire le sue risorse artistiche. Il suo pensiero si fa azione sciogliendosi in narrazioni di vasto respiro che trasbordano brani di vita vissuta e visioni di vita immaginata…
Da: Dattiloscritto firmato – Partinico, febbraio 1997

Postfazione

Giuseppe Nasillo, molti anni fa, ebbe a sottolineare che “la presenza e la consistenza di Stefano Lo Cicero nel campo dell’arte si collocano su due dimensioni parallele e complementari ad un tempo”, quali quella della pittura e quella della poesia, come a fondersi e ad integrarsi in una sinergia di indubbia intensità espressiva. Spiragghi di lustru - (Spiragli di luce), raccolta di liriche dialettali, ha una sua interessante prefazione in prosa e in poesia dello stesso autore, che con tono disinvolto, avvalendosi di una padronanza linguistica della lingua siciliana, dà una sorta di giustificazione del suo operare e procedere poetico.
La sua poesia si affida come ad uno dei fulcri più vitali, alla grazia laboriosamente scavata dentro la parola e la frase poetica, di un espressionismo di qualità come è indicato dalle stesse definizioni che egli dà alla poesia “nuvola gravida di pensieri che nei fogli scorre come fiume”, “poesia: invenzione, libertà di fantasticare, di sconfinare nei segreti della memoria e perdersi nei mondi sconosciuti che il poeta vorrebbe possedere”. La poesia non è tanto un’imitazione del vero, ma una fedele registrazione dei movimenti della realtà che non si inserisce in un piatto e infecondo naturalismo, perché il lievitare dell’individuale impressionabilità, di cui è carica la natura di Lo Cicero, opera attivamente sul terreno e sui temi della varia, autobiografica realtà, in quanto ne seleziona i momenti, i termini di più acuta intensità, arricchendoli di una urgente forza lirica e trasferendoli sul piano di una inventiva immaginazione.
Dietro e al di là della ricchezza espressiva, c’è un’intensità di sentimenti e una originaria verità esistenziale che portano l’autore a “scavari cu l’ugna azzannati un pirtusu funnutu nni la roccia pi fuddàricci cchiù dintra ca pozzu, reschi e rimasugghi scunsintuti”- (“scavare con le unghia / un buco profondo nella roccia / per infilarvi più in fondo che posso / lische e rimasuglie disordinate”), quasi a volere effettuare una sorta di bilancio della propria esistenza da conservare e comunicare, pur nella resa serenamente e quietamente mitica, come a sciogliere reliquie degli anni per consegnarli al tempo come testimonianza di sé, brani genuini della vita, fantasmi di un percorso esistenziale nell’alternanza di ritmi talora asincroni che lentamente scorrono fino a scomparire nel nulla. C’è nel tono della sua prefazione un suggestivo, irresistibile invito a volere ripercorrere le stazioni, i tempi della propria esistenza, forse a rimeditare le singole fasi, avvalendosi della chiarificatrice penetrazione dell’intelletto razionale per cogliere quasi i grumi di mistero di cui è ricca la vita: emozioni, trasalimenti, pensieri e sentimenti che lentamente si dissolvono e il poeta si ritrova come una mosca cieca “mpirugghiatu / ‘n menzu a un mari di filìnii / sintennu li muzzicuna / di la taràntula di l’uri / sfardàrimi li carni ‘nzuppilu ‘nzuppilu / sapennu ca di mia / ‘un ristirà ricordu / sulu lu siggillu di lu tempu / ca mi vitti nàsciri e mòriri”. - (“intrappolato / tra un mare di ragnatele / sentendo i morsi / del tempo che passa / consumarmi le carni piano piano / sapendo che di me / non resterà ricordo / solo il sigillo del tempo / che mi vide nascere e morire”).
C’è questo costante rapporto tra la vicenda umana del poeta, vicenda di sensibilità, di sommesse e solitarie avventure dello spirito, e la verità delle cose nel loro inesausto riproporsi al di là dell’ordito dei sensi. E tutta la poesia è come una specie di taccuino segreto, interiore, ritmato su una sostanziale integrazione tematica: il dilatarsi delle schiarite interiori, i temi autobiografici dell’età, dello scolorirsi del giorno e delle stagioni, così come quello della stessa fede. Canta il poeta: “Aspittannu ca la mè rota / macina lu so tempu / ‘nchiuvatu / a ‘na cruci di ventu / cu l’ali rutti / senza ‘na parola / cuntu li gruppa /ca mi tennu strittu. / E senza ciatari / senza diri nenti / mi ritrovu cchiù vivu / cchiù prisenti, / pinzannu a Tia, Signuri.” - (“Aspettando che la mia ruota / macina il suo tempo / inchiodato / ad una croce di vento / con le ali rotte / senza una parola / conto i nodi / che mi tengono legato stretto. / E senza fiatare / senza dire niente / mi ritrovo più vivo / più presente, / pensando a Te, Signore.”)
Al fondo c’è una sottile vena malinconica come di chi avverte il senso della misura effimera del ritmo vitale, della inconsistenza della nostra giornata terrestre, nel fluire breve del tempo. È il poeta a dire: “Cu l’occhi ‘nsirragghiati / ntâ grata di lu munnu / spirtusu sonni gnutticati e foddi / supra sbalanchi di focu...” - (“Con gli occhi serrati / nella gabbia del mondo / evoco sogni complicati e folli / tra precipizi di fuoco”). L’uomo è sperduto nella desolata scenografia di una pianura dove “alligna solo la gramigna” e affannosamente cerca una strada, senza trovarla. Ma cosa in realtà cerca? Cosa vuole e a che cosa aspira? È come un “uccello senza ali e senza spazio”. Cerca la fede? O sconta penitenze? Nessuno lo sa: solo la sua ombra che fedele l’accompagna, forse può capirlo e consolarlo. - (Sono parole e temi ricorrenti in alcune liriche dell’autore).
Questi sono soltanto alcuni dei momenti di un diario, raccordato a un tempo soprattutto metafisico, che ci balzano incontro con la forza di una poetica esemplarità, e che si caricano delle note di un assorto raccoglimento umano, di un pensoso e dolente registro nel clima di una attenta misura lirica, la quale di tanto in tanto trova la forza e la sete dell’amore.
È allora che la poesia si carica di lucentezza scopertamente idilliaca, proprio nella sostanziale unità della radice emozionale. Non è tanto un moto di ripiegamento tenero sulla felicità di traslucide stagioni remote, quanto il desiderio e, forse, il bisogno di amore. Ne consegue che emozione e immaginazione si fondono: “Senza brigghi né cunfini / supra sdilluviu di chiantu / li pinzera arràncanu / comu rinnini ‘mpazzuti / pi jùnciri ‘nsinu a tia / a purtàriti lu chiamu / di ‘stu mè cori siccu / addivintatu sponza / ca voli assuppari / lacrimi d’amuri / pi nun muriri” - (“Senza briglie né confini / oltre diluvio di pianto / i pensieri si agitano / come rondini impazzite / per arrivare fino a te / per portarti il richiamo / di questo mio cuore arido / diventato spugna / che vuole assorbire / lacrime d’amore / per non morire.”) C’è un costante rapporto tra sentimento e capacità espressiva come modulazione di un’unica geografia di emozioni, di impulsi, di voci e di immagini che la ricchezza di un linguaggio come il dialetto siciliano rende nella varietà delle sue esplicitazioni. Si ha allora l’impressione che il poeta voglia fissare nell’imponderabile flusso del verso con inflessioni sapientemente modulate, i suoi umani trasalimenti e tutto il mondo di pensieri che urgono alle soglie della sua vigile coscienza.
Da: Postfazione in Silloge di poesie “Spiragghi di lustru” - Palermo, gennaio 1996

Mostra di Stefano Lo Cicero

…Stefano lo Cicero, pittore dal carattere introverso, noto negli ambienti artistici palermitani, siciliani e nazionali, per le numerose mostre personali e rassegne d’arte, opera già da parecchio tempo, imponendosi all’attenzione della critica e degli estimatori d’arte. La sua pittura, soffusa di velate trasparenze, rivela il suo travaglio interiore che trasfonde nei suoi personaggi, ora drammatici, ora melanconici. L’ansito della ricerca, il suo carattere irrequieto hanno spinto il pittore ad elaborare sempre nuove esperienze. La mostra al Club Magistrale ci ha fatto vedere una serie di opere rivelanti le diverse tecniche adottate dall’artista, dagli oli, ai monotipi, ai disegni…
Da: Quotidiano "Giornale di Sicilia" – Palermo, gennaio 1972

Espressione e lirismo

Anche se il motivo centrale della sua ispirazione si appoggia sulla visione di un paesaggio o di una figura umana, tali immagini sono tuttavia caratterizzate da un processo figurativo inedito, viste come sono in una loro dimensione il cui sviluppo, i cui orditi di luce e di colore, sollecitando le pulsazioni cromatiche, evidenziano più sensibili e delicati rapporti interni tonali, di ritmo e di materia. I piani sono distribuiti secondo una successione progressiva di massa tonale, secondo un equilibrio costruttivo per giungere ad un’esplorazione lirica con una tecnica che fa di questa sua recente esperienza, una sorta d’impressionismo emozionale, senza che comunque diventi mai enfatico. I suoi paesaggi mostrano appunto di risolversi in raffinate strutture, in piani cromatici da cui emergono motivi e ritmi di un racconto lirico venato da sottili trasparenze.
Con una sensibile ed accorta disponibilità pronta ad accogliere voci e suggerimenti del linguaggio moderno più valido, Lo Cicero è portato dal suo ricco istinto ad operare nell’ambito delle ricerche tonali, di un colore che resta la componente più risolutiva del suo operare pittorico e che troviamo in tutte le sue opere, dove l’elemento cromatico si fa più prevalente e decisivo e diviene il vero protagonista. La disposizione psicologica di Lo Cicero è per un pacato lirismo, sia pure percorso da una tristezza meditativa che forse nasce, oltre che dall’altra attività di Lo Cicero, autore di delicate composizioni poetiche, da un’interna tensione, densa di trasalimenti emotivi e ritmata in cadenze vaste in un’articolazione distesa e compiuta, che finisce con il risolversi in una purezza immaginativa distaccata dalla rappresentazione meramente oggettiva per farsi visione di un’interiorità elegiaca; proprio quella che ritroviamo espressa attraverso una sottile e segreta musicalità di toni, di ritmi formali, suggeriti da questa sua fantasia inventiva, da una pienezza d’incanti e di squisitezze cromatiche veramente suggestive. Ma rischieremmo di fraintendere la segreta poesia di Lo Cicero, se accentuassimo l’aspetto elegiaco della sua pittura senza annotare la misura sobria e nient’affatto dispersiva del suo fare pittorico, in un rapporto di ricambio fra il mondo e la struggente esigenza pittorica dell’artista.
Da: Presentazione in Catalogo, Centro d’Arte “La Tela” – Palermo, maggio 1970