Stefano Lo Cicero

GASPARE MIRAGLIA

Drammaturgo, Poeta

Dinamismi plastici

…È proprio nello stile che Stefano Lo Cicero si distingue, e si placa, in proprio particolare respiro che caratterizza tutta la sua opera. Sicché, sia pure sotto luce e ombra differenti, si può facilmente ritrovare la semenza iniziale gettata sulla prima zolla incontrata.
L’artista per tutelare la propria autenticità, ha rinunciato a qualsiasi riferimento retorico o dogmatico, proteggendosi nella sensazione di osservare continuamente se stesso attraverso un ologramma, estaticamente da ogni punto dello spazio cosmico. Posso ben comprendere e immaginare la fatica e l’angoscia dell’autore che si è sforzato di essere il demiurgo di se stesso, ricreandosi ogni volta con le sue stesse mani.
Di vivida fattualità le sculture di recente produzione che si propongono una sola regola: lasciare trasparire dal nucleo materico ciò che è essenziale, per meglio stigmatizzare un’emozione, un proponimento ideale. E così, i corpi scuotono impercettibilmente la massa monolitica appena appena interrotta dalla presenza di membra che appaiono solo momentaneamente per poi dileguarsi nel formale o nell’informale del materiale che si raggruma nella sua quiete iniziale, che ha preceduto l’atto totale della creazione, disgregando l’inerzia del nulla.
Quando Lo Cicero si cimenta estrosamente nella lavorazione dei metalli, al fine di condensare le proprie suggestioni e i propri bisogni metafisici, prevede l’utilizzo espressivo di tutto ciò che il fuoco ingurgita, fonde e restituisce in scorie imprevedibili. In questo modo i coacervi materici conservano lo stridore primordiale che ha superato le tenebre, ridestando al tatto e alla visione quel vagito rudimentale che scaturisce dal primo fiato di vita.
Ma qual è il cardine fondamentale di quest’arte tanto complessa, eppure tanto coerente col proprio simbolismo spontaneamente affiorante? Non v’è dubbio che tale asse sia l’uomo e la sua umanità, con le sue architetture interiori, che necessitano incessantemente della verifica del senso fragile di ogni esistenza.
Proprio per ciò, il suo linguaggio figurativo, mai ridondante, trascrive nell’amorfismo caotico degli elementi, messaggi vigorosi che vogliono perpetuare e affermare il valore dell’esistenza umana nel cosmo e nel ritualismo della tavolozza della pietra, dell’argilla e dei metalli, Lo Cicero diviene il sacerdote che officia il mistero della vita racchiuso nella spirale genetica dell’arte…
Da: Presentazione in catalogo, Galleria “Mond’arte” – Livorno, dicembre 1992

Stefano Lo Cicero: l’enigma della creazione

Il tempo dell’arte scandisce le cadenze dei propri ritmi sublimi, all’interno del suo inalienabile frutto creativo, che modula nella fragilità dell’effimero, quel celato senso di eternità che l’artista costantemente ricerca, nell’illusorietà dello strumento umano, che deve piegarsi ai moti mutevolmente irripetibili dell’anima. Ma può l’artista, più della scienza, spiegare l’enigma di tutta la creazione, concedendoci risposte illuminanti che ci aprano le porte della comprensione, risolvendone il mistero sempre sfiorato e mai azzannato dall’intelligenza cartesiana?
Non è facile dirlo con sicurezza certa, ma dal momento che la fisica delle particelle precipita nell’infinitamente piccolo senza darci indicazioni assolute, mi diletto nell’immaginare un artista che ne abbia, almeno nel segreto del proprio io, la capacità, la possibilità. E quando ci si ritrova ad osservare, attraverso le finestre che ci concede l’artista, non possiamo non avvertire quel sottile senso di paura indefinito, che è il divenire stesso della materia cosmica, colta durante gli spasmi della sua metamorfosi indecifrabile. Ed è questa l’emozione immediata che si prova quando si varca la soglia che separa lo spazio fisico dalla realtà oggettiva, da quell’altra dimensione che è l’arte, le cui regole sono dettate ed imposte dall’artista che ne governa le leggi del visibile e dell’invisibile.
Immersi o, per meglio dire, sommersi, dall’intensa luce diversamente emanata da ogni angolo occulto dell’opera, lo stupore s’impadronisce della mia mente, perché tutto è rievocato nella magia di pochi istanti imbrigliati nel magma delle resine, in atmosfere incantate dello spirito. E lo stupore provato o subito quasi violentemente, mi abbandona a quella danza d’immagini che determina l’ebbrezza del cuore attonito.
Il momentaneo ottundimento del senso avviene inaspettatamente, non appena il demiurgo della materia, Stefano Lo Cicero, con la candida semplicità che può solo caratterizzare un autentico artista, ci consente di scendere nell’antro della sua fucina, dove egli alacremente lavora e vive la sua arte per attuarne il miracolo.
Mi rendo conto, a questo punto, che il mio io, è preda del brutale furore dell’artista e delle sue sconvolgenti emozioni che sollecitano il mio spazio immaginativo, mentre il mio sguardo incontra l’orizzonte della sua arte. Avverto le vibrazioni emanate da quelle immagini-universo che ci comunicano trascendenza e infinito, grazie al segno rapido e non casuale lasciato sulla tela con urgente febbrilità. Mani ansiose hanno concupito la materia e hanno celebrato il rito dell’arte che domina ogni significato di questo cosmo che nasce dal nulla e si avvia verso il nulla.
E quando, e non senza una comprensibile fatica emozionale, recupero l’equilibrio della mia ragione, penso di essere stato vinto da quei procedimenti alchemici, la cui formulazione segreta sfugge al suo stesso scopritore. E finalmente ragiono, chiedo, indago, scruto, penetro nell’intimità delle opere incompiute, mi avventuro laddove l’artista ha momentaneamente posato i suoi strumenti febbrili, discoprendo così nei dettagli, l’universo di un uomo che ha costruito la propria poetica espressiva, con l’impiego dei materiali più disparati che gli consentono ricerca e rinnovamento costante.
Ed è inesauribile la ricerca di questo artista che si proietta in ogni direzione, scrutando sempre con attenzione il proprio atto creativo che esplora la sua stessa cavità interiore. Così non ci sorprenda se, a volte, Stefano Lo Cicero indossa i panni del poeta, poiché l’esigenza è sempre la stessa: quella dello sperimentatore che non vuole tralasciare alcuna opportunità, pur di giungere a esiti di grande appagamento interiore. Ma non è del poeta che in questa occasione desidero parlare, perché mi preme definire l’ambito verso cui è rivolta l’attività del pittore e dello scultore che s’intersecano nella loro estrinsecazione. E questo perché il prisma che filtra la creazione è sempre lo stesso e determina un’effettualità coerente nell’insieme. Ma è sempre un poeta sensibile a guidare la mano sulla tela o sull’argilla, comunque.
E sulla tela, nell’argilla, nella resina, nella pietra e nel bronzo, si consuma il conflitto della creazione, un’esplosione incontrollabile che abbatte le più fitte barriere del nulla e del silenzio. Tutto ciò repentemente si ammanta di una drammaticità primordiale che viene dopo levigata e attutita nella sua sofferta manifestazione, da uno stile vigoroso che riesce a controllare la violenza delle forze sprigionate. Stefano Lo Cicero in lunghi anni d’impegno artistico che lo ha ben gratificato, ha cavato fuori tutto il minerale del suo io e, in questo atto, lucidamente voluto con determinazione analitica, non è stato mai intaccato nella sua integrità dalle mode e dalle avanguardie. L’artista è cosciente dell’impossibilità di svelare il tutto, e allora ci concede i bagliori delle proprie fuggevoli intuizioni, ed è già tanto per chi, come me, anela la conoscenza della verità.
Da: Mensile “Dopolavoro Notizie” – Palermo, luglio 1991